Dal Sole24Ore.
L’annunciato differimento per dieci anni dell’anomalia italiana, di aver sostituito l’esenzione con la non soggettività Iva per gli enti non commerciali richiede un sollecito intervento per ridefinire le banche dati fiscali, che sono in sofferenza dal 21 dicembre 2021, quando la legge 215/2021 del 17 dicembre aveva cercato di chiudere la procedura di infrazione risalente a diciotto anni fa, in quanto la nostra legge non rispettava le regole europee: chiunque svolge un’attività economica, anche non profit, è un soggetto Iva. Solo per chi ha questo requisito, competono le esenzioni dell’articolo 132 della vigente direttiva 2006/112/Ce, assenti nel nostro ordinamento.
La norma del 2021 non è mai entrata in vigore, essendo stata differita, sinora, al 1° gennaio 2026, ma le banche dati – chi più chi meno – hanno iniziato a modificare le norme. Le nuove disposizioni, non vigenti, potevano essere indicate in nota: la confusione si è generata inserendole nelle disposizioni, in particolare negli articoli 4 e 10 del Dpr 633/72 (la nostra legge Iva).
Prendiamo le due banche dati su cui opera la pubblica amministrazione (def.finanze e Normattiva) , che vengono utilizzate anche dai contribuenti.
Cominciamo con l’articolo 4, quarto comma, che in questi ambiti termina con «Si considerano fatte nell’esercizio di attività commerciali anche le cessioni di beni e le prestazioni di servizi ai soci, associati o partecipanti verso pagamento di corrispettivi specifici, o di contributi supplementari determinati in funzione delle maggiori o diverse prestazioni alle quali danno diritto».
Ma la norma continua (non “continuava”, perché la modifica non è mai entrata in vigore) con la disposizione che si vuole prorogare: «ad esclusione di quelle effettuate in conformità alle finalità istituzionali da associazioni politiche, sindacali e di categoria, religiose, assistenziali, culturali sportive dilettantistiche, di promozione sociale e di formazione extra-scolastica della persona, anche se rese nei confronti di associazioni che svolgono la medesima attività e che per legge, regolamento o statuto fanno parte di una unica organizzazione locale o nazionale, nonché dei rispettivi soci, associati o partecipanti e dei tesserati dalle rispettive organizzazioni nazionali».
Per non parlare dell’indicazione “abrogato” per i commi successivi, che indicano le condizioni da rispettare per conseguire questo beneficio, e in particolare la democraticità dell’ente. Anche questi commi sono rimasti e sono tuttora vigenti.
Per quanto riguarda le esenzioni, quella relativa alle attività sportive, mutuata dall’articolo 132, lettera m) della direttiva, si trova in una norma esterna alla legge Iva – articolo 36-bis, comma 1 del Dl 22 giugno 2023, n, 75 «Le prestazioni di servizi strettamente connessi con la pratica dello sport, compresi quelli didattici e formativi, rese nei confronti delle persone che esercitano lo sport o l’educazione fisica da parte di organismi senza fine di lucro, compresi gli enti sportivi dilettantistici di cui all’articolo 6 del Codice dello sport (Dlgs 28 febbraio 2021, n. 36) sono esenti dall’imposta sul valore aggiunto».
La norma mai entrata in vigore è invece riprodotta nella banca dati del Mef , secondo cui sono esenti da Iva «le prestazioni di servizi strettamente connesse con la pratica dello sport o dell’educazione fisica rese da associazioni sportive dilettantistiche (e le società sportive dilettantistiche?) alle persone che esercitano lo sport o l’educazione fisica», aggiungendo poi la vecchia quanto inutile estensione, che aveva una logica solo per la limitazione ai soci della non soggettività: «ovvero nei confronti di associazioni che svolgono le medesime attività e che per legge, regolamento o statuto fanno parte di un’unica organizzazione locale o nazionale, nonché dei rispettivi soci, associati o partecipanti e dei tesserati dalle rispettive organizzazioni nazionali».
Quest’ultima condizione aveva portato a considerare soggetti ad Iva i corrispettivi per l’accesso ai campi da golf (cd. green fees) dei tesserati esteri, quando invece la Corte di giustizia ha statuito che la norma di esenzione non pone nessuna condizione di questo tipo, e che pertanto l’esenzione compete anche a non soci (sentenza del 19 dicembre 2013, nella causa C-495/12).