Dal Sole24Ore.
Sulla base della responsabilità amministrativa, anche l’ente del Terzo settore (Ets) risponde per gli illeciti tributari previsti dal Dlgs 231/01. Una circostanza tutt’altro che marginale se si considera la natura peculiare degli Ets e il nuovo impianto fiscale che impone un ripensamento della gestione delle attività e delle risorse alla luce di una progressiva assimilazione, sotto il profilo degli obblighi organizzativi, agli enti for profit. L’elenco dei reati presupposto indicati dall’articolo 25-quinquiesdecies del decreto 231 evidenzia, infatti, la possibilità per tali enti di incorrere in condotte rilevanti, specie nei casi in cui l’attività economica si affianchi o si intrecci con quella di interesse generale.
Le ipotesi di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti, l’emissione o l’occultamento documentale, fino alla sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, potrebbero rappresentare scenari realizzabili, soprattutto laddove manchi un presidio organizzativo idoneo a prevenire situazioni di rischio. In tale contesto, l’adozione di un modello organizzativo ex Dlgs 231/01 non assume un valore meramente formale, ma diventa strumento sostanziale di tenuta dell’ente, specie se chiamato a operare in ambienti ad alta esposizione, nella gestione di risorse pubbliche e nel mantenimento di standard reputazionali.
In questo contesto, particolare attenzione merita il caso delle Fondazioni corporate, costituite da operatori economici di mercato per finalità sociali o filantropiche. Sebbene si tratti di soggetti giuridici formalmente distinti, l’eventuale coincidenza dei soggetti apicali o la presenza di rapporti costanti e strutturati tra ente e fondatore potrebbe, in via ipotetica, dar luogo a una situazione di controllo di fatto idonea a fondare una responsabilità ai fini del Dlgs 231/01. Un elemento, quest’ultimo, da valutare in considerazione di un possibile “vantaggio/interesse” che il reato presupposto potrebbe comportare anche per la corporate.
È proprio la presenza di un legame “stretto” tra corporate e Fondazione, a richiedere di dotarsi di un modello organizzativo non solo coerente con la realtà dell’ente, ma in grado di presidiare con efficacia le aree di rischio e, soprattutto, di garantire il rispetto dell’autonomia giuridica tra i soggetti coinvolti evitando ipotesi di controllo di fatto.
In una stagione che vede il Terzo settore come protagonista assoluto, la costruzione di un modello organizzativo efficace si rivela non solo funzionale a escludere la responsabilità amministrativa, ma anche determinante nel rafforzare la credibilità dell’ente nei confronti di cittadini, pubbliche amministrazioni e operatori del mercato, secondo un principio di accountability che non può più rimanere sullo sfondo. Un’esigenza che è ancora più evidente nel momento in cui l’Ets si trovi a operare in contesti ad alta densità di relazioni con soggetti pubblici, come nel caso di progetti finanziati con fondi europei, Pnrr o partenariati pubblico-privato. In tali scenari, il rischio di sovrapposizioni gestionali o commistioni decisionali imporrebbe un livello di vigilanza ancora più elevato, chiamando in causa non solo gli strumenti di compliance, ma anche la capacità dell’ente di attuarli e documentare in modo puntuale la propria autonomia funzionale e operativa.