L’Inrl rafforza il dialogo con le istituzioni (portale PA) e si interroga sulle regole dello smart working


Con l’incontro tra il presidente dell’Inrl, Ciro Monetta e il capo dipartimento del ministero per la Funzione Pubblica, Marcello Fiori, tenutosi nei giorni scorsi, si è dato il via libera all’accesso dei revisori legali non ordinistici nel portale del reclutamento voluto dal ministro Renato Brunetta. Così, fra pochi giorni oltre 62mila revisori legali, non appartenenti al sistema ordinistico, potranno inserire il loro profilo professionale nel portale PA.   Grazie a questa collaborazione sul portale del reclutamento, che attualmente – secondo quanto dichiarato dal capo Dipartimento Fiori –  registra oltre 65.000 iscrizioni di professionisti, sarà dunque possibile contattare tutti quei revisori interessati ad operare negli enti locali, con prestazioni professionali in linea con le necessità della PA. “Ringrazio il Ministro Renato Brunetta ed il suo Dicastero” – ha commentato il Presidente dell’Inrl, Ciro Monetta – per aver tempestivamente accolto le nostre istanze che avevamo inviato con una lettera dell’agosto scorso, nella quale richiedevamo un legittimo riconoscimento dei revisori legali non iscritti agli ordini, i quali a pieno titolo possono essere inseriti nel portale del reclutamento.”  Come poi ha avuto modo di ribadire il Capo del Dipartimento del Ministero della Funzione Pubblica, il portale vuole essere ‘uno strumento’ attraverso il quale la pubblica amministrazione potrà avvalersi fin dai prossimi mesi di professionisti accreditati e competenti. Un segnale forte che, secondo i vertici Inrl, potrà avere un riscontro molto positivo solo se accompagnato da concreti passi verso quella semplificazione che è tra i passaggi-chiave del Pnrr.

Prosegue intanto, proprio in questi giorni, l’allestimento del nuovo calendario di webinar e convegni in presenza che l’Istituto è intenzionato ad organizzare da ottobre in poi, per intensificare il dialogo col territorio ed avvicinare sempre più revisori legali alla vita dell’Inrl. Come hanno avuto modo di ribadire il Vice Presidente Inrl, Luigi Maninetti e la segretaria generale dell’istituto Katia Zaffonato, durante un incontro operativo tenutosi recentemente con il Presidente Monetta nella sede romana dell’Inrl “Oggi più che mai l’istituto intende essere al fianco dei propri associati con una serie di iniziative sia online che sul territorio, per assicurare assistenza e un programma di formazione di alto profilo. Proprio in questi giorni stiamo concludendo la stesura di un ricco programma di convegni ai quali parteciperanno docenti di comprovata esperienza professionale, accademici e personaggi istituzionali.”

Successo del webinar sul codice della crisi

Ripresi intanto, con pieno successo in termini di partecipazione i webinar inrl del mercoledì: molto seguito l’intervento dell’avvocato Cristina Guelfi, ofcounsel dello studio Lanteri, sul codice della crisi d’impresa con alcune interessanti sottolineature a partire dai recenti interventi di natura legislativa: “Attualmente dobbiamo tener conto di alcuni elementi determinanti quali lo slittamento al 22 maggio 2022 dell’entrata in vigore del codice e lo slittamento al 31 dicembre 2023 del procedimento di composizione assistita della crisi e l’attivazione delle procedure di allerta, lacuna di non poco conto perché il testo non è armonico…Eppoi c’è l’introduzione imminente (il prossimo 15 novembre) dell’istituto di composizione negoziale per la soluzione della crisi d’impresa che allo stato attuale non si è ancora compreso se affiancherà oppure sostituirà l’organismo di composizione della crisi, di cui tra l’altro non abbiamo ancora potuto beneficiare della sua effettiva operatività e infine la modifica della legge fallimentare in tema di accordi per ristrutturazione, convenzione moratoria, accordi di ristrutturazione agevolata che sono entrati già in vigore nell’agosto scorso con il Decreto legge 118. Occorrerà quindi interrogarsi sul futuro dell’Ocri e sul ruolo che avranno gli indicatori della crisi nel mercato post-pandemìa.  Quel che in molti condividono è che allo stato attuale e con simili provvedimenti, per il revisore legale potrebbe diventare incerto il processo di acquisizione degli elementi probatori sufficienti per valutare la continuità aziendale. Quindi potrebbe essere più complicato, per lo stesso revisore legale, elaborare la relazione di revisione e magari incorrere in errori.”  

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E per lo smart working il mondo delle professioni reclama regole chiare

In principio fu il lavoro “agile”, così chiamato in virtù della legge 22 maggio 2017 n. 81, che disciplina tuttora la materia ovvero le modalità di svolgimento della prestazione lavorativa in parte all’interno dei locali aziendali e in parte all’esterno, senza precisi vincoli di orario e di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento delle mansioni di competenza.

Ma, come riflette il consulente legale dell’Inrl, avvocato Giovanni Cinque: “Il lavoro “agile” può svolgersi esclusivamente per accordo scritto tra le parti, a termine o a tempo indeterminato, laddove il datore di lavoro conserva il ruolo di responsabile della sicurezza e del buon funzionamento degli strumenti tecnologici di lavoro. Com’è noto, le disposizioni del lavoro “agile” si applicano anche ai rapporti di lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione. Ora, per effetto dell’emergenza pandemica – prosegue Cinque – e della decretazione d’urgenza che ne ha fatto seguito (tra cui i decreti legge 17 marzo 2020 n. 18 e 19 maggio 2020 n. 34) il lavoro “agile” è stato trasformato da istituto residuale su base volontaria a modalità “ordinaria” della prestazione lavorativa svolta tanto alle dipendenze della pubblica amministrazione che di privati datori di lavoro. Così, d’improvviso, interi quartieri delle nostre città metropolitane hanno cambiato volto, trasformandosi da luoghi brulicanti di vita e di impegni frenetici tra piccoli e grandi esercizi commerciali in strade e incroci desolati, privi di umanità. Di fatto la pandemia abbia impresso una decisa accelerazione al processo di diffusione capillare dello Smart Working, da alcuni ritenuto come un ineluttabile segno dei tempi e di evoluzione possibile del mercato del lavoro.”

Ciò che intende evidenziare il consulente legale dell’istituto, l’allargamento improvviso dei margini di utilizzo dello Smart Working, con una buona parte dei lavoratori italiani impiegati da casa, ha messo in risalto una serie di problemi di carattere applicativo di questo istituto, tra i quali il più importante è, senz’altro, quello della sicurezza dei luoghi di lavoro, divenuti tali a causa della pandemia o, come sostenuto da alcuni, dei processi evolutivi delle attività produttive.

Ebbene, sotto questo profilo – osserva Cinque – l’assunto della residenza privata del lavoratore in Smart Working quale abituale luogo di lavoro e, in quanto tale, vera e propria unità operativa, cui estendere i requisiti di sicurezza normativamente previsti, appare fondato sulla definizione stessa di luogo di lavoro offerta dalla normativa prevenzionistica. In particolare l’art. 62, d. lgs. 9 aprile 2008 n. 81, qualifica “luogo di lavoro” quello destinato ad ospitare posti di lavoro ubicati all’interno dell’azienda o dell’unità produttiva accessibile al lavoratore nell’ambito del proprio lavoro. Dal suo canto la giurisprudenza penale è ancora più stringente nella lettura di tale disposizione, identificando il luogo di lavoro conqualsiasi luogo…quale il lavoratore possa accedere, anche a prescindere dalla specifiche incombenze affidategli” (Cassazione 20 settembre 2012 n. 36267), nonché estendendo le tutele di legge anche a favore di terzi non dipendenti dell’azienda che si trovino a frequentare i luoghi suddetti, pensiamo ad es. ai familiari (Cass. 19 luglio 2011 n. 28780). L’immediata conseguenza di un simile inquadramento giuridico è che il datore di lavoro, in quanto responsabile della sicurezza, è tenuto ad adeguare la residenza privata del dipendente, eletta a suo abituale luogo di lavoro, agli standard di sicurezza previsti dalla legge, sostenendone i relativi costi, ivi inclusi – ancorché in una visione evolutiva del dibattito corrente – quelli relativi alla nuova destinazione impressa all’immobile del lavoratore.”

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