Piccole e medie Imprese e l’accesso al credito: una corsa ad ostacoli con lo ‘snodo’ dei bilanci


Da ItaliaOggi. Grazie anche alle Linee guida Eba, che entreranno pienamente in vigore il 30 giugno, ma già ampiamente anticipate da molti istituti di credito, ogni richiesta di finanziamento bancario di una piccola e media impresa si sta trasformando in un percorso di guerra tra scartoffie, dati più o meno plausibili, interpretazioni giuridiche ed economiche più o meno fondate. Fino a qualche decennio fa l’accesso al credito bancario era basato sulla conoscenza diretta tra imprenditore e direttore di filiale, e il finanziamento lo si otteneva sostanzialmente sulla fiducia. Oppure offrendo in garanzia la casa o il capannone o altro diritto reale. Adesso le cose sono cambiate, sulla base però di esigenze che, se possono avere un senso per la grande impresa, lo hanno molto meno per le piccole e medie, che si trovano davanti a richieste di informazioni che l’imprenditore, normalmente, non ha mai nemmeno immaginato di gestire.

La lista dei documenti richiesti è lunghissima e a volte astrusa. Si parte dalle informazioni sulla finalità del prestito, se del caso munite di prove adeguate, a seguire prospetti di bilancio e note di accompagnamento (a livello di entità singola ed eventualmente di consolidato), quindi stato patrimoniale, conto economico, flussi di cassa, relativi ad un certo numero di anni, con conti certificati e sottoposti a revisione contabile, se del caso. Poi un prospetto di anzianità dei crediti, un piano aziendale e proiezioni finanziarie (stato patrimoniale, conto economico, flussi di cassa), evidenze dei pagamenti fiscali e delle eventuali passività fiscali e previdenziali. Poi dati dei registri dei crediti contenenti info sulle passività finanziarie e sugli arretrati di pagamento, eventualmente con informazioni sul rating esterno del cliente, sulle clausole restrittive esistenti e sul loro rispetto. Le informazioni su eventuali contenziosi di un certo spessore, sulle eventuali garanzie reali offerte, il loro valore ed eventuale assicurazione oltre che sulla loro esigibilità. Sulle garanzie personali e altri fattori di attenuazione del rischio, oltre che sulla struttura proprietaria ai fini della prevenzione del riciclaggio.

Come se tutto ciò non bastasse bisogna adeguarsi alle nuove politiche green che impongono alle banche di tener conto dell’esposizione dell’azienda “ai fattori Esg, in particolare ai fattori ambientali e all’impatto sul cambiamento climatico, e all’adeguatezza delle strategie di mitigazione” (dalle linee guida Eba).

Niente informazioni, niente credito (sarà poi tutto da dimostrare quanto questi business plan, la capacità di rimborso del debito o gli altri key performance indicator siano realistici). Caricati come muli da tutti questi adempimenti e da tutte queste magnifiche sorti e progressive le Pmi nostrane dovrebbero, in un mercato globale, fare concorrenza alle imprese cinesi o indiane che da tutte queste scartoffie sono completamente esentate?

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