Ritratto dei professionisti, oggi: la fatica per gli aggiornamenti, le priorità, i servizi che offrono, le tecnologie che usano…


Dal Sole24Ore.

Stanco, schiacciato da burocrazia e adempimenti normativi, con il
timore di venire scavalcato dai “big”, ma comunque curioso verso le
nuove tecnologie, prima fra tutti l’intelligenza artificiale, se non
altro per migliorare l’efficienza dello studio.

Questo è il ritratto, luci e ombre, dei professionisti e degli studi
professionali che nasce dall’edizione 2025 del Rapporto curato
dall’Osservatorio su professionisti e innovazione digitale della
School of Management del Politecnico di Milano. Il Rapporto – è stato presentato il 1° luglio a
Milano.

Le priorità

Avvocati, commercialisti e consulenti del lavoro sognano un migliore
equilibrio tra lavoro e vita privata: questa aspirazione è al primo
posto tra le priorità (si veda il grafico a fianco), senza grandi
differenze fra le categorie indagate (oltre alle tre citate anche chi,
fra questi, lavora in studi multidisciplinari) e nemmeno fra piccoli e
grandi studi.

La ricerca di un migliore work life balance riguarda almeno tre quarti
degli intervistati: un campione di oltre 1.600 studi suddivisi in base
alle dimensioni fra micro ( fino a tre persone), piccoli (da tre a
nove), medi (da nove a 29) e grandi (oltre i 29 professionisti). La
percentuale di chi mette al primo posto questa esigenza resta oltre il
70% sia per le singole categorie sia se si guarda alle dimensioni
dello studio. O meglio con i piccoli questa aspirazione è al primo
posto per otto su dieci.

I professionisti appaiono affaticati, costretti a rincorrere scadenze,
regole e burocrazia (commercialisti e consulenti del lavoro in
particolare), peraltro senza ottenerne in cambio un aumento
proporzionale della redditività.

La stanchezza è tale che, al momento, l’introduzione di nuove
tecnologie in studio è l’ultima delle preoccupazioni per i
professionisti: solo il 9% (16% negli studi multidisciplinari) la
individua come una priorità. Claudio Rorato, responsabile scientifico
e direttore di questo Osservatorio spiega così l’apparente paradosso:
«In questi anni i professionisti hanno spinto tanto sulla
produttività, si sono dovuti attrezzare per svolgere le stesse
attività in minor tempo, ma non sono riusciti a innovare i processi e
i modelli di business. Questo li ha sfiancati e gli ha impedito di
capire che proprio la tecnologia potrebbe aiutarli anche a risparmiare
tempo, ad essere più efficienti e, appunto, a raggiungere un miglior
equilibrio tra la carriera e la vita privata».

I servizi offerti

Un nodo, quello della ricerca di efficienza nei processi lavorativi,
che è ancora prevalente nel rapporto degli studi con la tecnologia, a
scapito dell’offerta di nuovi servizi a valore aggiunto. In questo
senso, il Pnrr, in particolare, sembra essere un’occasione persa: «Gli
studi appaiono deboli sullo sviluppo dei nuovi servizi richiesti dal
Piano» aggiunge Rorato. Offrire assistenza nello sviluppo di progetti
legati alla transizione digitale e a quella sostenibile, infatti, non
interessa al 65% delle realtà più piccole, al 59% delle medie e
persino al 49% delle più grandi. Anche se il servizio è “in
costruzione” per uno su quattro tra i commercialisti e uno su tre
degli studi multidisciplinari. I commercialisti guardano anche
all’assistenza nella gestione di bandi e incentivi sia per la
transizione digitale che per quella Esg: un servizio già offerto dal
16% di questi studi e in fase di costruzione per un altro 24 per
cento.

Le tecnologie adottate

Nel 2024 gli investimenti in tecnologie digitali degli studi
professionali italiani hanno raggiunto i 1.954 milioni di euro (+3,5%
rispetto all’anno precedente). A investire di più sono gli studi
multidisciplinari, con una spesa media di 28.200 euro.

La spesa media per il digitale è di 14.300 euro per i consulenti del
lavoro, 14mila per i commercialisti e 10.400 euro per gli avvocati.
Prevalgono le tecnologie legate alla propria attività, così come le
eredità della pandemia, ovvero i sistemi di videochiamata, che
oscillano dal 67 al 77% di presenza a seconda delle dimensioni e la
Vpn. Al contrario, la business intelligence,utilizzata da uno su tre
dei grandi studi, arriva al massimo al 10% negli altri e i sistemi di
intelligenza artificiale sono realtà nel 21% degli studi più grandi e
solo nel 10% di quelli medio-piccoli. «Una certa cautela è normale –
prosegue Rorato – viste le responsabilità civili e penali che gravano
sui professionisti, ma in molti, anche tra i più piccoli, hanno
cominciato a fare piccoli test con i vari sistemi di intelligenza
artificiale». C’è «un timido aumento rispetto allo scorso anno della
quota di studi che afferma di utilizzare i dati, sia per il
monitoraggio dell’efficienza, per misurare indicatori relativi alla
clientela o per offrire nuovi servizi: 55% dei legali, circa 75% di
commercialisti, consulenti del lavoro e studi multidisciplinari».

L’ampliamento della clientela

Per sviluppare il portafoglio clienti il passaparola non basta più:
oltre la metà del campione riterrebbe utile disporre di una rete
vendita. «Ma – conclude Rorato – frenano i vincoli normativi e
deontologici e questo riteniamo sia un tema da imporre alla
riflessione del legislatore e delle istituzioni di categoria».

(Credit foto: da Microbiologia Italia)

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