Cerved: il 65% delle PMI italiane presenta ancora i conti in rosso e sono a rischio chiusura


In primo piano su ItaliaOggi il Rapporto Cerved di fine anno.

La fine del tunnel sembra sempre più lontana per le Pmi italiane. A inizio 2022, infatti, lo scenario di ripresa post-pandemia è cambiato bruscamente per effetto della guerra russa-ucraina e per la crisi energetica. Tanto che sempre più imprese saranno a rischio chiusura: l’indice di rischio potrà salire portando le piccole e medie imprese in area di sicurezza a ridursi dall’attuale 46,7% al 35,7%; quelle rischiose a crescere dal 5,7% al 7,5% e quelle vulnerabili dal 13,9% al 20,8%. Quanto ai fatturati, potranno esserci contrazioni in media dell’1%, provocando una vera e propria recessione nel 2023, causata dalla riduzione dei consumi (-0,6%) e dalla stagnazione di investimenti (+1,6%) ed export (+1,9%), con effetti molto più pronunciati nei settori ad alta dipendenza dal gas e dall’energia.

Queste le stime di Cerved che, nel Rapporto Pmi 2022, ha ipotizzato due scenari: uno cosiddetto “worst”, il peggiore, cioè il più pessimistico, in cui le variabili negative sono portate agli estremi (aumento delle tensioni belliche; interruzione della fornitura di gas dalla Russia; inefficace utilizzo di risorse del Pnrr; salita dei tassi con conseguente maggior costo del debito e quindi flessione di domanda e produzione). Il secondo scenario è, invece, “baseline”, ossia base e quindi gli elementi negativi si stabilizzano. E in tal caso le previsioni sono più rosee e si prevede una crescita dei fatturati reali anche nel 2023, con un Pil sostanzialmente in linea con quello di fine 2022 (-0,2%), con dinamiche positive per gli investimenti (+4,1%), ancora sostenuti dai fondi del Pnrr e dall’edilizia, e dall’export (+3,2%) guidato dal tasso di cambio particolarmente favorevole. I consumi delle famiglie subiranno una battuta d’arresto (-0,2%), a causa del forte aumento dei prezzi e della contestuale stagnazione del livello dei redditi. La perdita di potere d’acquisto verrà in parte compensata con il ricorso ai risparmi accumulati soprattutto nel 2020.

Rischiosità elevata. Proprio quando sembrava che le imprese potessero lasciarsi alle spalle la crisi da Covid c’è stato un ribaltamento di scenario, dovuto allo scatenarsi del conflitto e allo shock energetico. Analizzando il rischio di default per macrosettori, nello scenario peggiore si nota che nell’industria e nei servizi le quote di imprese in area di sicurezza calano rispettivamente di 13,8 e 11,6 punti percentuali (da 58,7% a 44,9% e da 45,4% a 33,8%). È l’industria a registrare il maggior numero di aziende che entrano in area di rischio (+5,1% se si considerano i debiti finanziari), mentre nei servizi crescono quelle in area di vulnerabilità (+8,5%, e +12,8% considerando i debiti finanziari). Contenuto è invece l’impatto per il settore delle costruzioni.

Questo quadro è frutto del cosiddetto Cerved group score (Cgs), che si basa su una componente strutturale, frutto anche di un’analisi dei bilanci, e su una componente comportamentale (analisi statistica dei segnali di mercato, regolarità dei pagamenti e così via). Dal confronto tra il Cgs al 31/12/2019, alla vigilia dello scoppio della pandemia, e quello calcolato sui dati disponibili alla data di chiusura del Rapporto, emerge la resilienza delle Pmi italiane. Non solo. Le politiche di sostegno messe in atto dai governi hanno contribuito a ridurre i contraccolpi della crisi. Pur ipotizzando che questa politica attiva prosegua, la crisi attuale avrà impatti evidenti: secondo il Cgs forward looking, nello scenario worst, come anticipato, si assiste a una riduzione di oltre il 10% delle Pmi in area di sicurezza, a un aumento di quasi il 2% delle Pmi rischiose e di quasi il 7% di quelle vulnerabili. La distribuzione dei debiti finanziari ha tendenze più marcate: la quota di debiti finanziari in capo a Pmi con una valutazione in area di sicurezza si riduce del 15% (scendendo al 27,4%), a fronte del 36% circa in capo a Pmi vulnerabili o a rischio. I debiti finanziari a rischio si riportano su valori al di sopra dell’8%, superando i livelli pre-Covid nello scenario worst.

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