Per le professioni è crescita zero: sempre meno giovani e redditi bassi


Sul Sole24Ore un articolo-inchiesta di Maria Carla de Cesari.

Professioni sempre meno attrattive per i giovani. L’ultimo segnale di allarme in ordine di tempo è arrivato qualche giorno fa dalla Cassa nazionale del notariato che in un comunicato parla espressamente di «calo delle vocazioni» e di un fenomeno di «prepensionamento». Due facce ricondotte alla stessa medaglia: il calo dei repertori, molto sensibile negli ultimi anni.

Per gli under 45 il repertorio medio netto (che comprende le attività da pubblico ufficiale) è crollato del 33,9% dal 2006 al 2022. Per gli under 35, nel primo anno di attività, il repertorio, secondo la Cassa, non supera i 20mila euro e, in alcuni casi – come nel 2020 – si è fermato a poco più di 12mila euro. Tuttavia, la forte contrazione dei repertori è una situazione generalizzata: nelle classi di età oltre i 45 anni la variazione 2022 rispetto al 2006 è del 31,3 per cento. A risentirne sono soprattutto gli studi notarili del Sud. In generale, rispetto al 2010 gli atti a repertorio sono diminuiti di circa 700mila unità.

Va segnalata comunque una profonda polarizzazione della professione: al Nord – dove il fenomeno è più pungente – il reportorio prodotto dai primi dieci notai (pari allo 0,4% degli attivi del Nord – 2.481 – con età media pari a 58 anni) equivale a quello prodotto dagli ultimi 336 notai della medesima area (pari al 13% con età media pari a 51 anni).

Stando a questi dati della Cassa del notariato, si dovrebbe concludere che le riforme tra alla fine negli anni 90 del vecchio secolo e poi nel 2011/2012 – con la liberalizzazione delle forme pubblicitarie e l’abolizione delle tariffe – hanno mancato il segno.

Se il caso dei notai ha forti peculiarità, poiché l’ingresso è regolato da un concorso pubblico con i posti quantificati dal ministero dello Giustizia, nel complesso l’invecchiamento della popolazione professionale è illustrata nelle ricerche dell’Adepp, l’associazione delle Casse private, che censisce non tutti gli iscritti agli Albi (un universo più ampio), ma i contributori degli enti di previdenza privata (sono ricompresi, per esempio, anche i medici dipendenti).

Secondo l’ultimo rapporto Adepp disponibile, relativo al 2022 (dati al 31 dicembre 2021), la fascia di iscritti con età compresa tra i 40 e i 50 anni, nel 2005 rappresentava il 31,2% del totale ma nel 2021 si è ridotta al 26,9%; invece quella tra i 50 e i 60 anni è passata, nello stesso periodo, dal 18% al 25,6 per cento.

Se si guarda agli under 40, questi nel 2005 rappresentavano il 41% degli iscritti alle Casse. «Tale quota – si legge nel rapporto – è scesa costantemente negli anni arrivando a circa 28,2 punti percentuali nel 2021». Le ragioni? Molteplici. L’Adepp evidenzia che si lavora più a lungo, anche per effetto dell’innalzamento dell’età pensionabile nelle Casse di previdenza privata, dove tra l’altro registrano molti pensionati attivi. Ci sono poi l’invecchiamento generale della popolazione e il calo degli iscritti all’università tra il 2005-2013.

In linea generale il sistema delle professioni e della previdenza privata, che va dai commercialisti agli ingegneri, dai medici ai notai, ed è dunque molto diversificato sia per quanto riguarda le modalità di formazione (a numero chiuso per i medici, ad esempio) e di selezione (a numero predeterminato per i notai, per esempio) sia per quanto riguarda le modalità di esercizio dell’oggetto professionale (con riserve ed esclusive più o meno in condivisione con altre categorie o solo con “attività tipiche” oltre a quelle libere) dovrebbe fare i conti con il dato delle uscite maggiore rispetto a quello dei nuovi ingressi. Gli iscritti Adepp contribuenti attivi nel 2021 erano 1.590.657 (1.581.75 nel 2020) e i pensionati erano 108.617 (98.175).

Se il punto di vista si sposta sugli iscritti all’Albo, può essere significativo fare riferimento al Rapporto 2023 sui dottori commercialisti e gli esperti contabili, diffuso all’inizio di maggio dal Consiglio nazionale e curato dalla Fondazione studi.

Nel 2022 gli iscritti all’Albo dei commercialisti sono rimasti stabili sopra 120mila unità. A essere particolarmente allarmante è il dato degli iscritti nel Registro dei praticanti, diminuiti dell’8,4%, portandosi a fine 2022 a 12.781 unità (- 1.173 candidati). Nella presentazione del Rapporto si rimarca che «Il 2022 segna, per la prima volta, una crescita zero degli iscritti all’Albo, dopo la leggera ripresa del biennio pandemico (2020 e 2021), in linea con il rallentamento della crescita in atto dal 2016». Il calo degli iscritti all’Albo interessa maggiormente il Sud. Un elemento, pur nei numeri contenuti, va segnalato: gli iscritti alla sezione B, quella degli esperti contabili (che richiede il titolo di laurea triennale, oltre al tirocinio), aumenta del 9,5%, mentre gli iscritti nella sezione A, commercialisti (titolo di studio la laurea specialistica, oltre al tirocinio), sono diminuiti dello 0,2 per cento.

Ultima notazione, rispetto alla ricchezza del rapporto, i dati relativi al redditi che sono quelli dichiarati alle due Casse di previdenza cui fa riferimento la categoria. Il reddito medio professionale del 2022 (anno d’imposta 2021) si è incrementato del 9,3% rispetto al 2020 ed è pari a 68.073 euro. Tra il 2008 e il 2022, il reddito medio nominale dei commercialisti è aumentato del 13,7% ma quello reale ha perso il 9,4 per cento. Va considerato che questi valori sono riferiti alla generalità della platea dei commercialisti, al lordo delle differenze di età e genere.

Le statistiche, dunque, restituiscono uno spaccato del mondo professionale dove entrano sempre meno giovani, anzi molti nuovi ingressi – come ha rilevato l’indagine di Confprofessioni, la confederazione dei sindacati dei professionisti – avvengono dopo i 35 anni anni, avendo alle spalle altre esperienze lavorative.

La vignetta è di Sandra Franchino.

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